ritratto Amanzio FioriniAmanzio Fiorini nasce sull’Appennino reggiano a Nismozza il 12 marzo 1884.

La sua  famiglia é di umili origini, essendo i suoi antenati braccianti agricoli di un’agiata famiglia del luogo.

Da giovane si stabilisce a Genova, dove impara il mestiere dell’orologiaio, ma dopo essersi sposat nel 1908 emigra a Chicago dove  trova lavoro in una fabbrica di orologi e, nelle ore libere,  inizia a fotografare con una modesta fotocamera Kodak.

Nel Sito di Ellis Island rimane traccia del suo sbarco a New York, avvenuto con la nave Duca degli Abruzzi.

Nel 1915 poco prima dello scoppio della 1°Guerra Mondiale rientra in Italia, dove va a dirigere a Romagnano Sesia un reparto di meccanica di precisione in una fabbrica di proiettili.

Alla fine della guerra torna a Nismozza dove, con il denaro guadagnato costruisce una casa e sul retro, apre un atelier di fotografo con un laboratorio da orologiaio. Da autodidatta, Amanzio impara il mestiere di fotografo leggendo qualche manualetto e il “Corriere Fotografico”, a cui è abbonato. Apprende da solo il mestiere, ma presto trova uno suo stile fotografico.

La fotografia diviene quindi la sua principale occupazione, sia in studio, dove esegue moltissimi ritratti di montanari su un improbabile fondale marino, restaurato, molti anni dopo, dalla Galleria d’Arte Moderna di Bologna. Inoltre fotografa paesaggi, momenti di lavoro, cerimonie, gruppi, eventi, immortalando, così, la vita dell’Appennino in un patrimonio fotografico composto da migliaia di negativi su vetro.

Le foto di Amanzio ritraggono umili contadini, emigranti, boscaioli, gente che parte per la miniera. Per la maggior parte il suo obiettivo ritrae visi di persone che, partiranno per sempre per l’America, gruppi familiari raccolti attorno al patriarca, personaggi che passano la loro vita nei boschi.

Amanzio coetaneo di August Sander inizia a compilare il suo personale “catalogo” di vite, di immagini rubate, anno dopo anno, accumulando un prezioso patrimonio per i posteri.

L’attrezzatura di base del suo studio consiste in una grande macchina a lastre (una “Voigtlander” con obiettivo 135 mm.) ed un ingranditore acquistato a Milano nel 1920 e strumenti che spesso si costruisce da sé, come gli “chassis” supplementari, i moltiplicatori per lastre, un bromografo, la tavoletta per il ritocco, ed anche gli illuminatori ricavati da pentole da cucina. In un secondo momento acquista una fotocamenra biottica “Rolleicord”, che utilizzabile soprattutto esternamente.

Nel 1961 muore nel suo paese natale lasciando un archivio fotografico di migliaia di lastre in gelatino-bromuro. In trent’anni di attività una moltitudine di persone è transitata nel suo atelier di fotografo, lasciando una traccia indelebile del suo passaggio.

Sono immagini, al pari di quelle di Sander, che paiono schede segnaletiche, ma sono ancora più struggenti e spietate, con quegli sguardi penetranti che fissano negli occhi, attraverso l’obiettivo, il fotografo amico. Sguardi che si rivolgono anche a noi con tutto il fascino di storie che emergono dal passato.

Molti anni dopo la sua morte, avvenuta fra la sua gente, alcune sue foto compaiono su Time Life, in varie pubblicazioni nazionali (Storia della fotografia italiana di I. Zanier), internazionali ed in una prestigiosa mostra al centro Pomdidou a Parigi.
 
 
Pin It